Monday, 4 February 2008

Un moderno Bildungsroman (Cap.II)



La porta si richiuse. Se n’era andato. Era stato difficile fin dall’inizio avere a che fare con Simon e forse era la persona con cui andava meno d’accordo e con cui alla fine però era stato costretto a dividere l’ufficio data la scarsità di stanze disponibili e l’irrevocabile decisione del prorettore, Ernst Bloch, su cui, almeno per il momento non si poteva discutere. Simon non era particolarmente antipatico e neppure una cattiva persona, Dan lo sapeva. Non conosceva il piacere del silenzio e anzi forse ne aveva orrore. Tuttavia riusciva ad intrattenere conversazioni alla sola condizione che fossero assolutamente superficiali, trattassero di argomenti di amplissima generalità e, soprattutto, non richiedessero una qualsivoglia presa di posizione personale significativa, che richiedesse il ricorso a categorie etiche o convinzioni. Stargli dietro era davvero faticoso, una incombenza lavorativa che non appariva in contratto e perciò doveva sopportare senza retribuzione.

La fiammella sotto la teiera era ancora accesa e decise di versarsi una tazza di te fumante e fragrante nella tazza arancio brillante. Pensò che la tazza gli piaceva, l’aveva comprata a Firenze, insieme alla teiera di metallo e al tè speziato. Era un pezzo di casa da stringere nei giorni come questo, quando il mattino era gelido, non riusciva a venire a capo di niente e avrebbe pagato per un giorno di tregua da Simon.
La ricerca l’aveva spinto qui, ad accettare un posto che in Italia non c’era, o per cui sarebbe stato necessario aspettare pazientemente il proprio turno per anni, senza la sicurezza di una borsa dignitosa. Sì, si può proprio dire che la ricerca l’avesse spinto e l’azione cinetica era stata talmente irresistibile e potente da metterlo sul treno in direzione Schaffhausen, due mesi dopo la discussione della tesi di laurea, con i soldi contati e un’idea vaga che forse poteva farcela davvero a fare quello che gli piaceva nella vita. Ne era convinto, e questo a dispetto dalla mediocrità dell’ambiente dal quale proveniva.
Alla fine aveva realizzato una sorta di piccola conquista prometeica, e, in perfetta aderenza all’ideale eroico a cui gli sembrava adeguato accostarsi, senza preoccuparsi di valutarne tutte le conseguenze.
Anche sulle motivazioni della sua repentina dipartita aleggiava al momento una fitta coltre di nubi che per il momento non gli pareva necessario fugare con una salutare ventata di analisi chiarificatrice.
A chi glielo chiedeva, incuriosito da cosa lo avesse spinto fuori dal suo paese alla ricerca di opportunità che altri coglievano senza allontanarsi troppo dal mondo conosciuto e dalla rassicurante familiarità delle proprie abitudini, faceva credere che si trattasse di un forte desiderio di farsi valere, avere successo e mostrare in un ambiente dove le condizioni lavorative fossero migliori di che pasta era fatto.
Se fosse stato del tutto sincero con se stesso però, avrebbe ammesso che non era stato un generico desiderio di successo a spingerlo. Per lo meno non un desiderio di raggiungere una posizione. Certo, c’era anche quello ma non era certo la molla da cui si era sprigionata la forza del movimento.

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