Saturday 9 February 2008

Un moderno Bildungsroman (Cap.III)




L’ambiente dell’insegnamento universitario gli piaceva e vi si trovava a suo agio per la sua vaga somiglianza ad una famiglia allargata. L’appartenenza all’interno di questo gruppo da una parte non era immediata da ottenere, perché richiedeva che alcune qualità fondamentali fossero riconosciute e apprezzate, ma, una volta ottenuto il loro riconoscimento, non si doveva più provare nulla, come per l’appartenenza ad una famiglia vera e propria, dove il corredo genetico della somiglianza fisica e caratteriale e sì condizione stringente, ma anche sufficiente, una volta accertata irrevocabilmente.
Ed era proprio questo il punto, nel suo caso questo meccanismo di riconoscimento e accetazione non aveva funzionato in modo automatico come aveva sperato.
Possedeva le qualità richieste e questo era per lui evidente, almeno per quanto riguardava l’attività di ricercatore nel campo della linguistica generale, e per quanto ne sapeva lui. Ne aveva avuto riscontro anche dai suoi professori e aveva a volte addirittura l’impressione che pensassero che fosse brillante.
Tuttavia, qualcosa era andato storto, o non funzionava come si era aspettato, e alla fine della tesi di laurea superata a pieni voti non arrivò da loro alcuna offerta di iniziare un progetto di ricerca per ottenere il dottorato.
E quindi al desiderio di un riconoscimento delle sue capacità si era unito e andava rafforzandosi una non meno forte determinazione di appartenere ad un gruppo, un insieme di studiosi riconosciuto internazionalmente ma non così numeroso da impedire ai suoi componenti di conoscersi almeno per nome l’un l’altro, proprio come in grande clan della Cina pre-comunista.
Alla maggior parte dei suoi compagni di corso dell’università la linguistica non diceva nulla, quando non ammettevano direttamente di disprezzare quel genere di studi che giudicavano di poca utilità e applicabilità in qualsiasi contesto della vita professionale reale, escluso l’insegnamento. E spesso glielo dicevano apertamente, mentre a lui, da quando aveva iniziato a seguire qualche corso specialistico e ad entrare in confidenza con qualcuno dei docenti, pareva di trovarsi per magia in uno stato di elezione che non avrebbe osato sperare solo pochi mesi prima. Gli sembrava che prima ci fosse stato solo il nulla, il caos della mancanza di direzione e che ora, finalmente, il suo angelo custode si fosse deciso a mostrargli con amorevole decisione l’imbocco della sua strada di entrata nel mondo.
E quindi ora che era riuscito ad assicurarsi una borsa per almeno tre anni poteva dire di essere un ricercatore. All’apparente soluzione di un problema si erano affacciate molte domande di ordine pratico relative alla sua attività. Per esempio, da ricercatore, cosa cercava esattamente? Una versione della teoria? La limatura di una postilla esposta dall’epigono del maestro attualmente in voga? Un umile e poco avvincente sommario di posizioni esposte da altri? La trattazione empirica di un certo argomento facendo attenzione a non creare imbarazzi e a non assumere alcun tipo di posizione? Cercava il grande? Cercava il piccolo?
E poi, avendo anche definito una linea di ricerca, da dove cominciare? Quali discipline erano indispensabili a crearsi un bagaglio critico minimo? Avrebbe dovuto leggere tutto, non sapendo ancora cosa gli sarebbe potuto servire e cosa avrebbe potuto aprirgli uno spiraglio di luce o avrebbe piuttosto fatto meglio a eliminare da principio una parte della letteratura e concentrarsi sul minimo indispensabile iniziando a scrivere da subito? Le domande lo stordivano e gli riempivano i pomeriggi nelle giornate in cui era di cattivo umore e non riuscendo a risolversi ad iniziare a lavorare vagava con sguardo assente nelle pagine del Corriere della Sera online.

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