Tuesday 25 March 2008

Un moderno Bildungsroman (Cap.VII)

La notte precedente c’era stata la prima grande nevicata della stagione e quando Dan si affacciò nel suo ufficio Bloch era sporto fuori dalla finestra, intento a scaricare dal peso della neve, con l’aiuto di un lungo bastone, i rami più delicati del grande albero che si estendeva quasi fin dentro al suo ufficio, con un’attenzione e una cura particolarissime che il ragazzo trovò stravaganti.

‘Ciaaoo. Entra pure’
‘Ciao.’
‘Scusa, adesso chiudo la finestra. Ho chiesto a Peter di chiamarti perché volevo parlare un po’ del tuo progetto’
‘Benissimo, allora hai avuto tempo di leggere il materiale’
‘Possiamo dire così. Siediti pure. Ah, chiudi pure la porta, per favore’
‘Allora come va la pubblicazione di quell’articolo. Lo pubblichi, no?’
‘Sì, lo consegno domani o dopo’
‘Fantaaastiiico. Allora come procede lo sviluppo della tesi. Bene?’
‘Non ho ancora iniziato, volevo un suo, un tuo parere, appunto, se hai avuto occasione di visionare il materiale che ti ho lasciato. Ci terrei a sapere se sei d’accordo sulla bibliografia.’
‘Vediamo, l’ho guardato, direi che va bene. Vedi però io aggiungerei per esempio Johns (1975) oppure anche il lavoro di Finney, si, vedi ti ho aggiunto qui Finney ( 1967) e (1970).
‘Pensavo di non andare così indietro con la letteratura’
‘Ma è necessario. Bisogna, direi’
‘Prima conoscere i classici, poi affinare le armi per le dispute con i moderni, no? E poi…’
‘Sì?’
‘Bisognerebbe studiare anche la semantica, i lavori dei semanticisti. Moolto importante. Per capire, no? Insomma poi questo sarebbe il mio consiglio, ma la decisione sulla linea va presa indipendentemente. Il sistema dell’istruzione post-graduate parla chiaro, non è vero?’

La conversazione, costellata dai ‘no?’ e dai ‘non è vero?’ proseguì per una ventina di minuti, per lo più sotto forma di monologo di Bloch, con una serie di osservazioni a prima vista interessanti ma di fatto poco sostanziose, alla bibliografia.
Bloch aveva infatti la capacità di intrattenersi con il suo interlocutore per ore riuscendo perfettamente a girare intorno ad un argomento senza arrivare mai al punto. Era difficile portarlo ad assumere una posizione e darla per assodata. Aveva una naturale ripugnanza per la chiara affermazione o negazione di qualsiasi concetto, anche il più banale. La sua risposta preferita era ‘forse’, quando non decideva di non rispondere per nulla e semplicemente aggiungere alla conversazione una nuova spira inanellando nuovi aspetti a questioni già esposte e sovrapponendo uno strato all’altro con la generazione inevitabile di uno stato di confusione nell’interlocutore, unito al desiderio di lasciare al più presto il suo ufficio.
A volte, tuttavia, quando Bloch lo voleva, era capace di produrre una meravigliosa sintassi, chiara e cristallina. Allora il suo tedesco diventava un’opera fine di cesello molto pericolosa per chi ne subisse il fascino e faceva a gara con i suoi occhi nell’opera di ipnosi.
In generale, tuttavia era chiaro che, anche quando la sua conversazione si faceva complessa e forbita era il tentativo di stupire con la forma che lo muoveva. La forma infatti gli interessava molto, il contenuto che si sforzava di dissimulare ad arte, pochissimo.
Si sarebbe potuto dire che anche la scelta del suo abbigliamento trasandato e del fare ostentatamente giovanilistico non fossero casuali, ma una sorta di espediente per confondere il giudizio e dissimulare l’edonista che si nascondeva sotto la scorza.
Le opinioni che i suoi conoscenti avevano di Bloch erano le più varie; per alcuni era l’adolescente geniale mai cresciuto, per altri il bambinone di cui prendersi cura, per altri ancora il pupillo devoto, per altri ancora un furbetto che era riuscito a farsi una discreta posizione accademica attraverso l’utilizzo inverecondo dell’adulazione a tutti i livelli.
Infine, speculando su alcuni suoi modi di fare e di porsi eccessivamente effemminati, non pochi facevano chiacchere e ammiccamenti su quelle che potevano essere le sue preferenze.
Era come se per ognuna di queste persone Bloch provvedesse a fornire una nuova versione di se stesso o, in modo camaleontico, mettesse in luce un lato diverso della sua personalità.
Di Bloch si poteva dire tutto ma non che fosse una persona comune; c’era qualcosa in lui che induceva, soprattutto le persone più curiose ed intelligenti che vi si imbattevano, ad andare oltre l’apparenza contraddittoria per capire chi fosse.
Col tempo, comunque, Dan si accorse che in genere le opinioni di chi aveva lavorato a stretto contatto con lui per un tempo sufficientemente lungo, pur rimanendo abbastanza sul vago, tendevano a convergere sull’idea che si trattasse di una persona dalla cui vicinanza e compagnia ci fosse più da perdere che da guadagnare.

‘Va bene, hai qualche altra domanda?’
‘Non saprei, al momento mi pare di no’
‘E quasi ora di andare a pranzo. Vieni con i nostri ospiti austriaci? Andiamo tutti insieme, quelli del dipartimento.’
‘Va bene, grazie dell’invito.’
‘Fantaastiico. A dopo.’

Quando Dan fece per andarsene Bloch riaprì la finestra e continuò l’opera di pulitura del grande albero dalla neve finchè non si ritenne soddisfatto del lavoro e credette che i rami di quella possente creatura non corressero più il pericolo di spezzarsi. Poi tirò dentro il bastone e richiuse la finestra.
Più tardi, al pranzo con gli ospiti, Bloch fece in modo di sedersi a fianco a Dan dissimulando una confidenza che nella realtà non esisteva. Di nuovo Dan attribuì quel comportamento ad una stravaganza del professore. Inoltre si rese conto che nella conversazione Bloch non aveva fatto nessun riferimento ad una sua possibile partecipazione nei progetti che stava presentando per il finanziamento, motivo per cui l’aveva fatto chiamare. Di fatto di una partecipazione di Dan alle attività dell’istituto non si parlò né quel giorno nè mai più in seguito finchè durò la sua permanenza in Svizzera.

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